Questo articolo è stato pubblicato nella rubrica “Le vie dell’inconscio” del periodico Prisma, la Molteplicità nell’Uno (Anno 4 – n. 04 – dicembre 2004 pag. 20-21)
Chi, nel corso della propria vita non si è mai trovato a dover fare i conti con i limiti derivanti da un’informazione deformata dall’ignoranza delle persone che via via ne parlano, o da quelle che ormai è normale chiamare “leggende metropolitane” ? E chi, in questi casi, non ha mai provato il desiderio di ribellarsi e rilevare con veemenza ciò che, seppure mostrato in tutta evidenza, sembra comunque accecare la razionalità dei più?
Ecco : oggi desidero manifestare la mia ribellione verso ciò che mi diverte definire la “visione Jucascaselliana dell’ipnosi” (in onore del noto comico) parlando dell’IPNOSI seria, quella che ha finalità terapeutiche.
E’ facile immaginare che già presso le società arcaiche gli sciamani o le pitonesse praticassero – anche con l’aiuto di droghe – una sorta di stato allucinatorio o di autoipnosi (proprio o del soggetto che era ricorso a loro), a scopo divinatorio o curativo, ma per arrivare all’Ipnosi praticata oggi e legalmente riconosciuta a scopo terapeutico, occorre comunque partire da esperienze lontane ed empiriche, con il cosiddetto magnetismo animale di Franz Anton Mesmer (1734 – 1815), medico austriaco laureato anche in filosofia ed in teologia, che diventò famosissimo in tutta Europa per la terapia che ideò e che dal suo nome si chiamò mesmerismo.
In seguito, attraverso gli studi di Elliotson, Charcot, Bernheim, Janet, Freud (solo per citarne alcuni), la concezione dell’ipnosi si è ridimensionata e, spogliandosi delle credenze magiche, si è riappropriata dell’identità di fenomeno naturale e spontaneo e della quotidianità di ciascuno di noi.
Milton H. Erickson (1901-1980), fondatore della moderna psicoterapia ipnotica, parlava di una “comune trance quotidiana”, per indicare quel momento di “assenza”, o di interruzione dei legami con la realtà esterna, che tutti viviamo anche più volte in una giornata. Basti pensare a quando siamo assorti nella lettura di un libro, a quando guidiamo l’auto percorrendo il solito tragitto quasi senza rendercene conto, oppure quando guardiamo un programma televisivo senza cogliere ciò che sta trasmettendo.
Basandosi sul presupposto che la nostra mente sia costituita da due componenti fondamentali, quella razionale, che mantiene il contatto e il controllo sulla realtà esterna e quella analogica, sede della creatività e delle emozioni, oltre che delle esperienze della personalità, la psicoterapia ipnotica utilizza lo stato di trance non fine a se stesso, ma come strumento per raggiungere in maniera più rapida ed efficace, attraverso un linguaggio metaforico, simbolico, quel grande serbatoio di risorse che è l’inconscio e che Erickson definiva “magazzino delle potenzialità”.
Può capitare, infatti, che in un particolare momento della nostra vita, per qualche motivo, non riusciamo ad utilizzare quegli strumenti che possediamo a livello inconscio e che ci permetterebbero di affrontare e risolvere i problemi della quotidianità. Da ciò nasce il disagio.
Ma come agisce il terapeuta ?
Pendolini e sguardi “magnetici” hanno fatto il loro tempo, il paziente non dorme, non diventa catatonico, non parla di ciò che non desidera (talvolta non parla affatto) e, soprattutto, non viene mai privato della propria dignità.
La trance ipnotica, indotta dal terapeuta attraverso un uso particolare del linguaggio, serve ad operare uno spostamento dell’attenzione del paziente, che si troverà in una sorta di “dormiveglia”, dall’ambiente esterno alla propria realtà interna, permettendo di aggirare tutti quegli ostacoli messi in atto dalla parte razionale della mente.
Successivamente, a contatto con l’inconscio, il terapeuta utilizza la comunicazione metaforica che, in quanto creativa e ricca di simboli, stimola direttamente il sopraccitato “magazzino”, facendo riemergere le potenzialità, non più sopite, di cui il paziente necessita.
Il limite di questa modalità di approccio non risiede, come molti credono, nell’esistenza di soggetti “non ipnotizzabili” o poco suggestionabili (se, come si è detto, la trance è un fenomeno spontaneo e naturale, queste categorie non esistono, ma si parla piuttosto di soggetti più o meno “allenati” ad entrare rapidamente in trance), ma nella controindicazione ad utilizzare la dissociazione dalla realtà esterna in persone affette da gravi patologie psichiatriche. Se infatti questo strumento risulta essere elettivo per i cosiddetti “disturbi d’ansia”, non vale altrettanto per altre problematiche, di natura psichiatrica (per esempio la schizofrenia), in cui ciò che risulta essere compromesso è, prima di tutto, l’esame di realtà.
Nel tentativo di spiegare qualcosa di complesso, ho sicuramente peccato di eccessiva semplificazione, e di questo chiedo ampiamente scusa ai lettori : il mio intento era di stimolare la riflessione su un argomento che sta tornando alla ribalta troppo di frequente, negli aspetti più plateali che, invece di valorizzare l’individuo e l’individualità, puntano – tra una gag e l’altra – alla sua umiliazione proprio per suscitare il ridicolo nel pubblico e ….. fare spettacolo e “audience” : imperativi inderogabili sui cui altari si sacrificano fin troppo spesso le più elementari norme del buon gusto e, purtroppo talvolta anche della deontologia.