15 Luglio 2015

Il piccolo girasole

Questo racconto è stato pubblicato ne “Il giornale dei misteri” -Anno XXXVI settembre 2006 N. 419-) 

C’era una volta un piccolo girasole nato, per caso, in un roseto.
Come tutti i girasoli era sua abitudine, dall’alba al tramonto, seguire la luce del sole: nessuno glielo aveva insegnato, lo faceva spontaneamente. Osservandola aveva compreso che quella luce era l’origine di ogni cosa, e grazie a lei tutte le piante intorno si elevavano dalla terra al cielo: cresciute potevano, a loro volta, ringraziare terra e cielo contribuendo al ciclo della natura, donando i propri semi, che poi sarebbero germogliati.
Lo spettacolo del mondo affascinava talmente il piccolo girasole, da rapire totalmente il suo sguardo e inebriarlo di gioia: non riusciva a distogliersi dal sole e amava più di ogni altra cosa, riscaldare i propri petali che fremevano di gratitudine.
Un giorno anche lui avrebbe dato dei frutti e anche se non sapeva di che genere sarebbero stati, era felice e consapevole di poter offrire il proprio contributo alla vita.
Le rose tutte intorno lo osservavano incredule: loro, così perfette e profumate non venivano degnate di uno sguardo, né di un complimento da quello strano essere con quel testone sempre per aria!
In effetti anche il girasole si sentiva strano, o meglio diverso, o meglio…solo.
Qualche volta aveva provato a conversare con le rose vicine, ma i loro argomenti e i loro modi non facevano proprio per lui: si affilavano le spine di sera per sparlare, o parlare a sproposito, di questo e di quello di giorno.
Non si chiedevano mai perché fossero lì, da dove venissero e cosa fossero destinate a compiere.
Quanto avrebbe voluto far loro comprendere che la loro perfezione era generata da una perfezione più grande e che il volgersi alla luce, proprio di ogni pianta, non era qualcosa di scontato, bensì qualcosa di prezioso, magico, significativo.
Avrebbe tanto voluto condividere con qualcuno le proprie emozioni, ma al momento opportuno, nella tranquillità della sera, non trovava le parole adatte e non si dava pace per questo, e sebbene sapesse quanto difficile fosse definire l’indefinibile, era quello l’argomento di cui voleva parlare.
Durante il giorno era immerso nella profondità della luce, così innamorato del sole, da non badare più all’ambiente circostante, ma sempre in cerca di nuove risposte alle domande che si poneva.
Il tempo passava e proprio nel mezzo del suo cuore, cominciavano a crescere e maturare dei piccoli semi. La testa iniziava a pesare al girasole, ormai grande, un po’ affaticato dalla ricerca che lo aveva impegnato tutta la vita.
Le rose, d’altro canto, non erano più così belle e fresche e si rattristavano al pensiero della giovinezza perduta, preoccupandosi solo ora del proprio avvenire e di ciò che sarebbe loro capitato. Guardavano il girasole sconsolate, invidiandolo per la sua calma e la sua serenità.
Lui, ormai, era quasi rassegnato al fatto che non sarebbe riuscito a condividere con nessuno la meraviglia e la gioia che aveva provato fondendosi con l’immensità della luce e dell’energia del sole; non si era accorto, però, che uno dei suoi semi era caduto a terra.
Difficile è capire cosa gli passasse per la mente dal momento in cui la sua testa era irrimediabilmente reclinata, tanto da non potersi più dedicare alla sua attività preferita, ma una delle rose giurava di aver visto uscire una lacrima da quella testa reclinata. Quella stessa lacrima, nata dallo sconforto, aveva bagnato il terreno sottostante: così accadeva che durante gli ultimi istanti della sua vita, il girasole vedesse spuntare un tenero virgulto, frutto del primo seme caduto dal suo cuore.
Altri semi sarebbero caduti ed altre vite sarebbero nate.
C’era una volta, un gruppetto di piccoli girasoli innamorati della luce: solo uno di essi era riuscito a vedere il Padre, ma quei brevi, preziosi istanti, erano serviti per comprendere.

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