Ho sviluppato questo protocollo di accompagnamento per il Bagno di Foresta e la Terapia Forestale insieme nel 2020, in occasione di una importante ricerca svolta in diverse regioni del territorio italiano, che è stata pubblicata nel libro “Terapia Forestale”, che ha ispirato migliaia di persone. La versione di cui leggerai di seguito è sperimentale, condotta da noi con gruppi eterogenei per età, sesso, livello di istruzione e senza segnalazioni di particolari patologie. Il nostro intento, nell’istituire un gruppo di lavoro, è quello di articolare e modulare Forestfulness® perché sia coadiuvante nel trattamento di specifiche patologie.

Di seguito uno stralcio del capitolo 5 in cui descriviamo il nostro protocollo. Se desideri scaricare il libro Terapia Forestale gratuitamente clicca qui.

5.1. Introduzione

Se la frequentazione degli ambienti forestali offre di per sé effetti benefici dal punto di vista sia fisico che psicologico, sia in base al rapporto antico e naturale con la foresta (Cap. 2), sia in base a quanto più specificamente illustrato in particolare nel Cap. 3 e nel Cap. 4, per esempio rispetto alla disponibilità nell’aria forestale di sostanze volatili prodotte dalle piante e dal suolo e inalate anche inconsapevolmente, così come della visione della foresta stessa e dell’ascolto dei relativi suoni, sembra intuitivo che tali effetti possano essere amplificati per mezzo di un percorso condotto strategicamente allo scopo di stimolare la consapevolezza dei partecipanti e approfondirne l’esperienza immersiva. Questa evidenza è del resto stata presentata nel Cap. 3, in cui emerge che il protocollo di conduzione illustrato nelle successive sezioni di questo Capitolo, denominato “Forestfulness” e identificabile come “Terapia Forestale” qualora applicato da soggetti con specifiche qualifiche professionali, ha consentito di ottenere esiti sulla salute psicologica dei partecipanti superiori rispetto ai livelli riportati altrove nella letteratura scientifica.

L’alternanza di discorsi metaforici di ericksoniana memoria, e pratiche meditative ispirate alla Mindfulness, suggeriscono, e di fatto creano, un dialogo tra parti di sé e anche tra i due emisferi cerebrali, creativo (destro) e razionale (sinistro), così come l’alternanza di voce maschile e femminile, promuovendo processi di cambiamento. L’inserimento di interventi di taglio scientifico contribuisce inoltre alla consapevolezza dell’esperienza. Tutto ciò, in un setting naturale e benefico, disegna un modello terapeutico innovativo.

La metafora ha infatti il potere di scavalcare la razionalità, comunque presente ma alleggerita del suo potere limitante, consentendo la rappresentazione creativa e costruttiva di contenuti significativi e processi di identificazione inconscia che permettono un “modellamento” (modalità di apprendimento basata sull’osservazione di un modello e sull’imitazione del suo comportamento) del proprio atteggiamento. Questo può favorire un processo trasformativo e di “ristrutturazione” di parti della coscienza, nella direzione di una migliore funzionalità e di un maggior benessere, fino alla ri-costruzione progressiva della propria identità.

In ambito forestale, l’identificazione con gli elementi della natura suggerisce all’individuo un modello essenziale, adattogeno ed efficiente nel funzionamento individuale, oltre che equilibrato e armonico nella relazione con la complessità circostante.

La meditazione Mindfulness ha un effetto di radicamento nel presente, attraverso l’ascolto delle sensazioni e dei pensieri, favorendo un esame di realtà più oggettivo e utile.

Possiamo definire la Mindfulness come l’essere pienamente consapevoli del momento presente, senza giudizio e con un’attitudine di accettazione e curiosità. Il protocollo a cui si fa riferimento in questo Capitolo è il Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), programma sviluppato nel Centro Medico dell’Università del Massachusetts negli Stati Uniti e compiutamente documentato dal 1982, che da allora si è convertito nel programma di mindfulness più studiato scientificamente.

La Mindfulness nel bosco può essere praticata camminando consapevolmente, usando il respiro come centro dell’attenzione, osservando con accettazione l’ambiente circostante e creando una connessione emotiva con la natura usando i cinque sensi.

L’efficacia della Mindfulness, in diversi contesti, è stata dimostrata da numerose ricerche. Ad esempio, per citarne solo alcune, si è visto che allevia la sofferenza associata a una vasta gamma di problemi clinici e non clinici, migliora le funzioni immunitarie, migliora la salute psicologica nei pazienti con tumore al seno, è efficace nel creare un maggiore benessere soggettivo e attenua la reattività emotiva, riduce le ricadute della depressione e la pressione sanguigna, infine riduce l’ansia e migliora i problemi dell’umore.

È opportuno sottolineare che ciò che si pratica in outdoor non è un completo protocollo di Mindfulness, ma soltanto degli esercizi di consapevolezza presi in prestito dal protocollo MBSR. Infatti la realizzazione, in ambiente esterno, di un programma completo di Mindfulness, come lo stesso MBSR, o la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), richiederebbe il superamento di importanti difficoltà organizzative.

Tutto questo, avendo cura di scegliere i luoghi: nessun assetto forestale è uguale all’altro, e i siti lungo un percorso offrono diversi livelli di concentrazione – e spesso diverse tipologie – dei preziosi aerosol forestali.

L’ottimizzazione delle esperienze di immersione in foresta attraverso avanzati protocolli di conduzione, culminanti nella Terapia Forestale condotta da professionisti qualificati, passa quindi attraverso evidenze scientifiche multidisciplinari, dalla biochimica delle piante alla fisica e meteorologia, fino alle discipline psicoterapiche.

5.2. Forestfulness: protocollo di Terapia Forestale

In questa sezione è illustrato un protocollo originale sviluppato per la conduzione professionale di esperienze di Terapia Forestale e ispirato ai metodi e alle pratiche della psicoterapia e della Mindfulness. Questo protocollo, articolato in 6 “passi” e denominato “Forestfulness”, si presta molto efficacemente alla conduzione di esperienze di durata fino a 3-4 ore, come dimostrato dagli eccellenti risultati esposti nel Cap. 3.

Il medesimo protocollo, che sarà comunque soggetto a continui aggiornamenti e ulteriori miglioramenti sulla scorta delle evidenze sperimentali, rappresenterà la base anche per la conduzione di esperienze di durata superiore, in questo caso integrando eventualmente ulteriori attività.

5.2.1. Primo passo: la “giusta attitudine” Sara Nardini Intervista Rai1

Quale significato attribuiamo alle nostre passeggiate nel bosco?

La maggior parte delle persone finalizza la frequentazione del bosco alle proprie attività preferite, come per esempio la raccolta di funghi, frutti o bacche, o la caccia. Alcuni lo attraversano in modo quasi “accidentale”, avendo come obiettivo la cima di un monte. In questo caso entrano in gioco il tempo (“quanto ci metto a percorrere questo tratto?”), o la sfida con se stessi.

Generalmente ci poniamo nei confronti del bosco con un atteggiamento consumistico: “ci serviamo di lui” per i nostri scopi, qualsiasi siano.

La nostra presenza in natura non è indifferente, poiché l’esserci e il non-esserci cambiano gli equilibri. Se pensiamo per esempio al fine olfatto degli animali, molto più sviluppato del nostro, non ci sarà difficile immaginare che quando decidiamo di percorrere un sentiero gli animali che ci “sentono” potrebbero essere indotti a cambiare strada, per esempio ad approvvigionarsi di cibo o acqua altrove, ad una fonte più lontana magari. Se sottraiamo qualcosa al bosco il disequilibrio è ancora più evidente.

Quando ci relazioniamo con il bosco portiamo movimento, che non è necessariamente negativo, anzi potrebbe essere costruttivo, così come ci capita quando incontriamo una persona: il suo ingresso nella nostra vita potrebbe anche scombussolarci, ma da ogni esperienza, volendo, possiamo trarre insegnamento. Ecco che la questione si sposta: forse non sono così rilevanti l’esserci e il non- esserci, che fanno parte della vita, quanto il “come” esserci.

Tutto dipende dalla nostra consapevolezza e dall’intento che esprimiamo nelle azioni che scegliamo, o non scegliamo, di compiere.

Se, come abbiamo visto, attraversare il bosco non è un’azione scontata, bensì un’attività che può essere piena di significato, potremmo immaginare di finalizzarla proprio alla consapevolezza.

5.2.1.1. Come entriamo nel bosco?

Quando siamo invitati a cena da un amico, per quanto possiamo essere in confidenza con lui, siamo portati, anche per educazione, a presentarci in modo “ordinato”: lavati, con vestiti puliti, magari non a “mani vuote”, ma portando un dolce, oppure una bottiglia di vino da condividere. Di solito, se siamo un po’ empatici nei confronti del nostro ospite, evitiamo di inondarlo subito con il racconto dei nostri problemi, perché questo potrebbe creargli disagio. Piuttosto indossiamo un bel sorriso, che inviti a una conversazione almeno inizialmente leggera, cordiale, poco impegnativa.

Il bosco è un’entità vivente, complessa, in cui tutti gli elementi sono in equilibrio dinamico, che prevede evoluzione anche attraverso l’adattamento ai cambiamenti. Se la nostra presenza in qualche modo influisce su questo equilibrio, perché non entrare con un’attitudine che sia il più possibile innocua, se non addirittura costruttiva?

Portare l’attenzione agli “abiti” che indossiamo prima di muovere i nostri passi su un sentiero, osservando le emozioni e i pensieri, le preoccupazioni, il ritmo del nostro funzionamento, è il primo passo per comprendere da dove partiamo e dove vogliamo arrivare. In questo caso, però, la meta siamo sempre noi.

La Terapia Forestale può essere proposta come percorso che progressivamente ci mette in contatto con noi stessi, attraverso gli elementi che troviamo nella natura e che possono risuonare in noi in modo molto profondo, insegnandoci tanto sui nostri limiti e le nostre potenzialità empatiche, relazionali, creative, trasformative e di resilienza. Entrare nel bosco può quindi significare entrare più profondamente in noi stessi.

5.2.2. Secondo passo: indossare l’abito più bello

È difficile arricchire il nostro bagaglio di esperienze quando ci presentiamo alla vita con lo zaino sempre pieno. A volte è necessario lasciare andare qualcosa e creare uno spazio per accogliere il nuovo. Il timore di “perdere” ci impedisce spesso di compiere questo passaggio: accumuliamo tutto per paura di dimenticare, di perdere parti di noi in cui ci identifichiamo, anche quando questi elementi di identificazione ci limitano. Non si incorre in realtà in nessun pericolo lasciando andare ciò che in una situazione specifica non ci serve, perché la nostra coscienza è in grado di recuperare le eventuali informazioni utili anche in un momento successivo, ma la “paura di perdere” – il controllo o addirittura noi stessi – crea molte resistenze a quel “lasciarsi andare” che una parte di noi desidererebbe.

Essere consapevoli di questi processi è il primo passo per ri-trovare la leggerezza.

Il vero problema è che viviamo in questi meccanismi di funzionamento senza accorgercene, in balìa degli automatismi. Occorre quindi focalizzarsi nell’osservazione di sé, senza giudizio, con uno sguardo benevolo, perché solo in questo modo sapremo trasformare ciò che risulta disfunzionale nei diversi contesti in cui viviamo.

Prima di entrare nel bosco lasciamo andare, per quanto è possibile in quel momento, tutti i pensieri e le emozioni pesanti, il chiacchiericcio mentale e le proiezioni nel futuro, rispetto a ciò che dovremo fare nelle ore successive, il giorno dopo o il mese dopo.

Abbracciamo il silenzio, quello fisico, abbandonando la compulsione a parlare che spesso serve solo a “riempire i vuoti”: ci fa paura il silenzio, vuoto di parole, perché nel silenzio siamo costretti ad ascoltare anche le emozioni, da cui spesso inconsciamente fuggiamo, nel timore di non saperle gestire. La mente in realtà non sta mai totalmente in silenzio: è sufficiente attenuare il susseguirsi dei pensieri nel loro ritmo vorticoso per creare quello spazio di ascolto, lasciando che la porta del sentire si schiuda e ci meravigli. Ciò che proviene dall’esterno può finalmente risuonare in quelle parti di noi temute, non conosciute, in grado di svelarci prospettive inaspettate e incredibilmente costruttive. E infine, ciò che proviene dall’interno, quella caratteristica positiva, bella, che ci contraddistingue, può essere l’abito migliore da indossare, per onorare il nostro ospite e fare che la nostra permanenza sul “sentiero” divenga momento di condivisione profonda.

5.2.3. Terzo passo: camminare consapevolmente

Muovere i nostri “passi nella vita” ha un’accezione simbolica importante che ci riporta alla possibilità di scegliere le strategie più efficaci, le strade più significative per la nostra realizzazione personale, professionale e di relazione.

Dal punto di vista fisico, però, l’attività del camminare, a meno che non sia svolta in condizioni di particolare scomodità o instabilità, è praticata in modo automatico, senza alcuna attenzione da parte nostra.

Portare l’attenzione all’atto del “sollevamento” del piede, “spostamento del peso” e “avanzamento”, descrive a noi stessi il modo nel quale procediamo nella vita, offrendoci, anche in modo inconsapevole, spunti di riflessione e nuove strategie di azione.

La camminata consapevole è una delle pratiche principali della Mindfulness e camminare in ambienti naturali può abbassare la pressione sanguigna e i livelli di cortisolo, il cosiddetto “ormone dello stress”, avendo come risultati effetti rilassanti.

La camminata consapevole viene effettuata portando l’attenzione sulla respirazione e sulle sensazioni del camminare. Sebbene questo esercizio produca buoni risultati anche in ambienti indoor o urbani, ha mostrato i maggiori benefici nei boschi, tra cui il cambiamento dello stato dell’umore.

5.2.4. Quarto passo: respirare il bosco

La respirazione è la prima azione della nostra vita e probabilmente l’attività maggiormente scontata. Perfino attraversando situazioni particolari, come l’affanno da sforzo fisico, la fame d’aria per una crisi d’asma o il respiro corto da ansia, tendiamo a dare per scontato questo aspetto della nostra vita, non appena la difficoltà sia superata.

In realtà il respiro è uno strumento molto efficace di decodifica delle nostre emozioni, poiché descrive in modo dettagliato e puntuale il nostro stato d’animo nel momento in cui lo osserviamo. Possiamo imparare ad osservarlo e a decodificarne il significato, per comprendere come trasformarlo e renderlo più “adatto” a ciò che ci serve davvero. Se il respiro consente di decifrare le emozioni, va da sé che lavorare sul respiro abbia su queste un’influenza e che questa possa essere orientata verso il benessere in una specifica situazione. Allenarsi nella gestione e trasformazione dell’atto respiratorio in questo senso, può significare quindi avere conoscenza profonda del proprio modo di reagire agli eventi, del proprio “mondo emotivo” e imparare a trasformarlo quando lo riteniamo necessario.

Scegliere una radura nel bosco, per ascoltare il respiro e imparare a superarne il condizionamento rendendolo consapevole, ci permette di accordarci poi con il ritmo della natura circostante.

Le persone che sperimentano il respiro in natura riferiscono molto spesso di aver vissuto un’esperienza di “rallentamento” del proprio ritmo interno, che si fa più armonico e coerente con l’ambiente. Spesso, inoltre, si augurano di riuscire a mantenere a lungo questo nuovo assetto, rendendosi conto, forse per la prima volta, di quanto la nostra quotidianità ci trascini in un vortice in costante accelerazione, che non sempre si traduce in maggiore benessere o produttività.

L’attività immaginativa, di visualizzazione, nel “respirare il bosco” assorbendone l’energia, abbinata a una specifica tecnica di respirazione finalizzata allo scarico delle tensioni e alla “ricarica energetica”, trasporta progressivamente in quel processo di identificazione con l’ambiente e di perdita dei propri confini e delle proprie limitazioni, in un’esperienza che alcuni definiscono “totalizzante”, “liberatoria” ed “energizzante”.

Immaginare di poter allungare le proprie radici nella terra e di renderle tramite di una “relazione” nuova e tutta da scoprire con questo elemento che ci sostiene ogni giorno della nostra vita, comunque e ovunque muoviamo i nostri passi, ci rende partecipi di qualcosa di importante, che lascerà per sempre la sua “impronta”.

5.2.5. Quinto passo: l’uso dei sensi

Portare l’attenzione ai sensi, essere più consapevoli dell’esperienza che si sta vivendo, amplifica gli effetti dell’immersione in foresta.

Molto si è già detto riguardo a questo, ma è bene ribadire che sono proprio i sensi a orientarci e a darci, attraverso la percezione fisica del mondo, uno strumento di radicamento nel presente e di interpretazione delle esperienze che affrontiamo.

Ogni elemento della natura, in base alla sensibilità individuale, può evocare in noi sensazioni, emozioni, ricordi e, più in generale, una percezione di sé o di parti di sé con le quali fatichiamo a relazionarci in altri contesti. Tutti questi contenuti possono e devono essere presi in considerazione in un percorso di terapia forestale che, anche quando condotto in modalità collettiva, di gruppo, deve tenere conto delle singole specificità e prendersene carico.

La vista è uno dei sensi più utilizzati nella pratica della Mindfulness negli ambienti naturali e viene utilizzato osservando intenzionalmente il paesaggio circostante oppure un oggetto in particolare, molte volte descritto dai partecipanti dei corsi di Mindfulness come rinfrescante e rilassante.

Un altro senso è quello dell’olfatto, che può essere impiegato per esaltare il beneficio delle fragranze del bosco, sia a livello di profumi direttamente percepibili, sia in termini di contributo alla salute attraverso l’inalazione di certi composti organici volatili, detti BVOC (componenti degli oli essenziali comunemente utilizzati in aromaterapia) e ritenuti responsabili di effetti positivi sulla salute fisica (per es. a livello del sistema immunitario) e mentale, come illustrato nel Cap. 4.

Sappiamo tutti, inoltre, quanto rilassante possa essere l’ascolto del canto degli uccelli, del frusciare del vento tra gli alberi o dello scricchiolio dei rami e delle foglie sotto i piedi. In questo modo si possono ottenere benefici concentrandosi sul senso dell’udito.

Il modo preferito dalle persone per usare il senso del tatto è quello di toccare o abbracciare gli alberi. Come illustrato nel Cap. 3, il solo fatto di toccare il legno produce un effetto benefico nel generare emozioni positive.

5.2.6. Sesto passo: la meditazione con l’albero

Come abbiamo visto nel Cap. 2, in tutte le tradizioni di tutti i tempi gli alberi sono stati venerati e celebrati come elementi significativi non solo per il sostentamento, ma anche come riferimento spirituale. In ogni tradizione si può rintracciare una sorta di “albero cosmico” a cui riferire l’essenza della vita, o della conoscenza, spesso rappresentato con le radici protese verso il cielo e i rami immersi nella terra proprio per descrivere il principio vitale, o spirituale, che si manifesta nella materialità della forma terrena.

Come singolo individuo, l’albero può rappresentare la possibilità evolutiva e di realizzazione personale. In psicologia uno dei test proiettivi più noti è il “Test dell’Albero”, che consiste nella proiezione dell’immagine di sé attraverso il disegno a mano libera di un albero: il disegno, in ogni dettaglio, descrive le caratteristiche della personalità di chi lo ha realizzato.

L’identificazione con l’albero, anche se inconscia, è resa possibile da quel simbolismo ancestrale, archetipico, che ben si presta al discorso metaforico e che facilmente conduce sul sentiero terapeutico. Quando poi questo sentiero è fisicamente percorso nel mezzo del bosco, il simbolo si fonde all’esperienza reale e ciò che risuona inconsciamente trova, nell’uso dei sensi, un tramite di espressione di quel “rispecchiamento” che fa crescere, immaginando nuove strategie di adattamento alla realtà e nuove prospettive di realizzazione creativa.

La meditazione con l’albero rappresenta la tappa finale di tutte le attività fino a qui descritte, che in qualche modo sono propedeutiche a questo momento: l’incontro con se stessi, il momento più impegnativo e coinvolgente di qualsiasi altro.

Se il bosco è lo spazio nel quale veniamo ospitati, l’albero, scelto tra tanti in modo per nulla casuale, proprio perché ci rispecchia, è certamente il “padrone di casa”. A lui ci avviciniamo con rispetto e con la “giusta attitudine” scoperta all’inizio del nostro percorso. A lui ci presentiamo, con il nostro abito più bello (il sorriso, la gioia, la leggerezza) che abbiamo assaporato lungo tutto il sentiero. Usiamo i nostri sensi per familiarizzare: guardandolo, toccandolo, annusandolo, ascoltando il suono della sua fronda e perfino assaggiandone i frutti, le foglie o gli aghi, quando possibile. E infine, se ce lo consente e se noi stessi ce lo consentiamo, lo possiamo abbracciare.

Raccogliere le nostre sensazioni mentre abbracciamo un albero, immaginare di condividere con lui lo spazio delle radici, che precedentemente abbiamo imparato ad affondare nella terra, accordare il nostro respiro al suo flusso vitale, che in qualche modo intuiamo (tutti modificano il proprio respiro abbracciando un albero!), ci racconta davvero molto di noi.

Nel suo rappresentare noi stessi, l’albero ci trasmette anche le sue strategie di sopravvivenza: possiamo riconoscere le nostre radici nelle sue (superficiali, profonde, tenaci…), possiamo riconoscere il nostro tronco nel suo (rigido, flessibile, imponente…), possiamo riconoscere le nostre cicatrici nelle sue, per comprendere che lì dove le ferite sono rimarginate il nostro tronco diventa più robusto e resistente. Ma l’insegnamento più importante, forse, lo traiamo dal suo “impulso vitale”: qualunque sia la sua storia, l’albero, che ci è maestro anche in questo, ci mostra la sua determinazione a proiettarsi verso il cielo, in cerca del sole, della “Luce”, fonte di Vita e di Realizzazione.

5.3. Chi fa cosa… e come

Quanto fin qui descritto delinea in modo molto marcato la differenza tra l’Immersione nel Bosco o “Bagno di Foresta” (Forest Bathing) e la Terapia Forestale (Forest Therapy).

Questa distinzione non è affatto una pignoleria, poiché ormai abbiamo compreso che se il bosco è di per sé terapeutico, per esempio in quanto generatore di sostanze volatili benefiche, e se l’uso consapevole dei sensi ne potenzia l’effetto, l’accompagnamento del gruppo e forse ancor più del singolo individuo riveste un ruolo di fondamentale importanza.

È bene sottolineare, tuttavia, che mentre l’accompagnamento nelle esperienze di immersione forestale, qualora condotto da operatori adeguatamente formati, può essere facilitatore di processi di apprendimento e di consapevolezza, la Terapia Forestale, proprio in quanto “terapia”, può mirare a favorire processi di ristrutturazione e di trasformazione della personalità, o a promuovere processi di risoluzione di disturbi fisici: va pertanto proposta, seguendo protocolli adeguati, da figure sanitarie quali medici e psicologi, in grado anche di farsi carico di eventuali e particolari situazioni soggettive.

Il modello di Terapia Forestale che abbiamo proposto nella precedente sezione di questo Capitolo rivela un approccio “ecologico”, per nulla scontato, perché inteso nel più ampio senso possibile. Tutti sappiamo che la deforestazione continua ci porterebbe all’autodistruzione, come illustrato nel Cap. 1: le attività che proponiamo, e che sono state applicate nel corso delle sessioni richiamate nel Cap. 3, sono anche atte a sensibilizzare verso questo tipo di problemi, ma è ecologico anche riflettere sul fatto che non esiste una foresta uguale a un’altra, perché ognuna manifesta la sua presenza in natura in modo unico. È ecologico riflettere che non esiste un albero uguale a un altro, né un filo d’erba uguale a un altro, e se pensiamo a quanti fili d’erba possono esserci nel mondo potremmo avere le vertigini. È infine ecologico riflettere sul fatto che non esiste un essere umano uguale a un altro e che il modo in cui ciascuno si incammina su un sentiero nel bosco è unico. Come svilupperà la sua personale relazione con gli elementi di quel luogo? Che cosa si muoverà in lui sul piano delle sensazioni, delle emozioni e sul piano mentale? E come?

Accompagnare qualcuno nella foresta significa farsi carico di questo e aiutare a metabolizzare l’esperienza, perché serva. Serve quando porta cambiamento, o quando rinforza comportamenti funzionali al proprio percorso evolutivo, fatto anche di relazione, non solo col bosco, ma anche con gli altri esseri umani.

Uno studio canadese trentennale, ci racconta del sistema di comunicazione tra alberi: un complesso sistema sotterraneo costituito dalle radici degli alberi, dai funghi che prolificano alle estremità delle radici e dai lunghi filamenti da essi prodotti, chiamati micorrize. Attraverso questa fitta rete di filamenti, gli alberi sono in grado di trasmettere informazioni circa l’ambiente circostante, l’identità delle piante vicine e le proprie condizioni di salute. Queste informazioni influiscono in modo adattivo sul comportamento individuale e poi sull’equilibrio generale. L’albero più antico di una specie, “Albero Madre”, è in grado di riconoscere i propri figli e di prendersene cura, anche inviando loro zuccheri, minerali, o altri nutrienti necessari al loro fabbisogno.

Perfino in questo gli alberi ci sono maestri, riconducendoci a principi di solidarietà, di reciprocità e di comunità, e all’importanza naturale dei legami stretti e familiari, che l’umanità sta perdendo. Entrare nel bosco, assaporandone tutti i significati possibili, può aiutarci ad essere persone migliori, guidate dal grande esempio della natura.

Ci discostiamo con forza dalla visione della Terapia Forestale come moda, o come nuovo business, tanto diffusa in questo tempo di accelerazione, portando invece con determinazione il vessillo della responsabilità e del rispetto per la sacralità del bosco.

Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità.” Herman Hesse.

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